Il Resiano

di Han Steenwijk

Introduzione
Gli studi linguistici sul resiano hanno una tradizione che comincia intorno al 1800, quasi contemporaneamente con lo studio delle lingue slave in generale. La posizione geografica di Resia, pone la valle all’incrocio delle tre grandi famiglie linguistiche europee, il germanico, il romanzo e lo slavo. Questo fatto ha certamente contribuito allo svilupparsi e mantenersi di una formazione linguistica affascinante.
Inizialmente l’attenzione scientifica si era concentrata soprattutto sulla pronuncia particolare e inimitabile dei resiani, che tra l’altro dava origine alla cosiddetta teoria turanica. Un altro oggetto di studio prediletto era ed è rappresentato dalle divergenze notevoli tra le parlate dei singoli centri abitativi. Accanto a questi interessi si studiano la grammatica, il lessico e il ruolo speciale che il resiano svolge nella società.

Il Resiano : Lingua o Dialetto?
La risposta a questa domanda non può essere formulata solamente attraverso ragionamenti di natura linguistica. Nel caso di un continuo dialettale, cioè di un’area linguistica in cui le differenze tra due punti aumentano proporzionalmente all’incremento della distanza spaziale, è impossibile dire dove finisce lingua A e comincia lingua B. Per stabilire un confine intervengono fatti di natura sociale, culturale e storica. Per esempio, i dialetti parlati sul confine tedesco-olandese sono mutualmente facilmente intelligibili, però, sulla base di una divisione politica gli uni vengono detti dialetti olandesi e gli altri dialetti tedeschi.
Il resiano si è sviluppato dallo stesso slavo alpino che sta alla base dello sloveno di oggi. Nel Medioevo il resiano faceva parte del raggruppamento dialettale sloveno detto carinziano/koroška. Dal sec. XV in poi, dopo l’annessione del Friuli alla Repubblica di Venezia, i legami di Resia con la Carinzia si sono indeboliti. Se per il suo parlare e per la sua tradizione popolare Resia appartiene chiaramente all’area slovena gli sviluppi storici e sociali dal Rinascimento in poi hanno creato una situazione in cui i resiani stentano a identificarsi con la cultura slovena, anzi, si vedono come una popolazione ben diversa con una propria lingua e cultura.

Lo Sloveno
Lo sloveno viene parlato da circa 2,1 milioni di persone residenti soprattutto in Slovenia, ma anche al di là del confine in Ungheria, Austria (Carinzia/Koroško e Stiria/Š tajersko) e Italia (province di Gorizia/Gorica, Trieste/Trst e Udine/Videm). Precursore dello sloveno attuale è il cosiddetto slavo alpino ovvero sloveno antico, una variante linguistica sorta nel periodo delle prime diversificazioni delle lingue slave. A causa delle divisioni politiche e geografiche questa lingua già nel Medioevo è stata soggetta a una dialettalizzazione notevole. Dopo l’attività letteraria dei protestanti nel sec. XVI la codificazione dello sloveno letterario si completa solo nell’Ottocento, basandosi sui dialetti della Carniola Inferiore/Dolenjsko e Superiore/Gorenjsko. Altri raggruppamenti dialettali, p. es. quello carinziano/koroška e quello littorale/primorska rimangono fuori dallo standard.

La struttura grammaticale dello sloveno letterario rappresenta bene i tratti tipici delle lingue slave. Inoltre conosce categorie grammaticali arcaiche come il duale per riferire a due entità, p. es. rekel sem vama ‘ho detto a voi due’. Nel verbo si nota il supino, una forma da utilizzare in combinazione con verbi di moto, p. es. grem spat ‘vado a dormire’. Nella pronuncia si utilizzano vocali brevi e lunghe, che si distinguono in sillaba finale o unica, p. es. sìt ‘sazio’ contro sîn ‘figlio’.

Raggruppamento dialettale carinziano/koroška skupina
I dialetti sloveni detti carinziani si parlano in Austria nelle valli della Zeglia/Zilja e della Drava/Drava e in Italia nella Val Canale/Kanalska dolina. I dialetti geograficamente più vicini a Resia sono lo zegliano/ziljsko, a Ovest di Villacco/Beljak, e il rosano/rožansko, a Est di Villacco.

Non solo geograficamente, ma anche linguisticamente questi dialetti si avvicinano al resiano. Così il rosano ha mantenuto l’accentazione di sillabe finali come in ros. žanà ‘donna’ (cfr. res. žanä), anche se lo zegliano l’ha persa: zegl. žéana. Solo in questi dialetti, assieme con il resiano, troviamo numerali decimali costruiti con la parola slovena antica *rêd ‘fila’, p. es. zegl. petred ‘cinquanta’, alla lettera ‘cinque file’ (cfr. res. patardu). Anche tipico, se non unico, per questi dialetti è l’utilizzo del prefisso sloveno antico *vi-, comparabile al prefisso latino ex-, come in ros. wihret, zegl. biwaže ‘primavera’, alla lettera ‘uscimento’ (cfr. res. vïlažej).

Si nota un’influsso notevole del bavarese, che si fa sentire non solo nei prestiti, ma anche nella costruzione della frase. Astraendo da questo influsso estraneo, l’aspetto generale dei dialetti carinziani è relativamente arcaico, data la sua posizione periferica e isolata in rispetto all’area slovena centrale.

Raggruppamento dialettale littorale/primorska skupina
I dialetti sloveni detti littorali si parlano in Italia e in Slovenia, in un’area che si estende dalle Valli del Torre/Ter fino a Capodistria/Koper. Geograficamente più vicini a Resia sono i dialetti del Torre/tersko e del Natisone/nadiško.

Questi dialetti presentano caratteristiche che li avvicinano al resiano. Come il resiano, anche questi hanno conservato l’accentazione di sillabe finali come in tor. ženà, nad. žená ‘donna’ (cfr. res. žanä). L’utilizzo del prefisso sloveno antico *vi-, comparabile al prefisso latino ex-, si trova in p. es. tor. vilažiñ ‘primavera’, alla lettera ‘uscimento’ (cfr. res. vïlažej).

Prestiti tedeschi sono relativamente rari, anche se non mancano completamente. Dall’altro canto si sente il forte influsso del friulano, sia per l’alto numero di prestiti che per la costruzione della frase romanizzata. In genere questi dialetti non presentano un aspetto fortemente arcaico, perché le linee di comunicazione con altre area slovenofone erano facilmente praticabili.

Le lingue slave
L’area slavofona si estende nell’Europa centrale, orientale e sud-orientale. Dal sec. VIII dal sec. X, cioè dopo l’arrivo delle prime tribù slave nelle Alpi orientali verso il 600, lo slavo comune fin quel momento abbastanza omogeneo cominciava a diversificarsi, creando così le prime suddivisioni linguistiche. Oggi si distinguono tre gruppi, quello occidentale (polacco, ceco, slovacco, alto e basso sorabo), quello orientale (russo, ucraino, bielorusso) e quello meridionale (serbocroato, bulgaro, sloveno, macedone). Le prime testimonianze slave scritte sono redatte nello slavo ecclesiastico, una lingua estinta precursore del bulgaro e del macedone, e sono databili nel sec. IX.

Tipica delle lingue slave è l’espressione di relazioni sintattiche per via di 6 o 7 casi grammaticali (nominativo, genitivo ecc.), che si applicano al sostantivo, all’aggettivo, ai pronomi e al numerale. Il sistema verbale viene contraddistinto dalla categoria grammaticale dell’aspetto, formalmente dividendo i verbi quelli imperfettivi (p. es. ubišüwat) e perfettivi (p. es. obësit). Dall’altro canto, i tempi formalmente espressi nel verbo sono relativamente pochi.

Le lingue germaniche
Lingue germaniche vengono parlate nell’Europa centrale, settentrionale e nord-occidentale. L’unità linguistica del paleogermanico si era già sciolta parecchi secoli prima dell’arrivo delle tribù germaniche dei bavaresi nelle Alpi. Nella prima metà del sec. VI questi popolarono l’attuale Austria settentrionale e occidentale, dalla metà del sec. IX colonizzando l’attuale Austria sud-orientale (Carinzia e Stiria). Il germanico si divide oggi in due gruppi, quello settentrionale (le lingue scandinaviche) e quello occidentale (inglese, tedesco, olandese, frisone). I testi più antichi sono rappresentati dalla traduzione della bibbia nel ormai estinto gotico, realizzata nella seconda metà del sec. IV.

Tratti grammaticali tipici per il germanico sono la povertà del sistema temporale dei verbi, che distingue solo il presente dal passato. Per questa espressione formale si utilizzano non solo desinenze, ma anche alternanze vocaliche, il cosiddetto Ablaut, p. es. ingl. (I) sing ‘canto’, (I) sang ‘cantavo’ (I have) sung ‘(ho) cantato’. Originalmente i casi grammaticali formalmente espressi nei nomi e pronomi erano 4, ma oggi solo il tedesco e l’islandese li comprendono ancora.

Il Bavarese
Dialetti bavaresi vengono parlati in un’area comprendente la Baviera, l’Austria e la provincia di Bolzano. Il testo più antico proveniente da quest’area linguistica è il cosiddetto Abrogans di Ratisbona, scritto nel 770. Accanto ai dialetti e le parlate locali si sviluppava una lingua di commercio sovrarregionale lungo l’asse Danubio-Isar. Nel tardo Medioevo anche i ceti superiori nel Patriarcato del Friuli conversavano in bavarese.

Alcuni tratti bavaresi sono la o aperta in p. es. khropfn ‘krapfen’ per tedesco letterario a e il suono i per tedesco letterario ü in p. es. pirštn ‘spazzola’. I prestiti comunemente detti tedeschi che fanno parte del lessico resiano spesso mostrano caratteristiche di pronuncia che sono collegabili con il bavarese. Così i due esempi sopraccitati, entrambi presenti nel resiano come prestiti, suonano kroflin e piršlin.

Le lingue romanze
La Romània si trova nell’Europa sud-occidentale e meridionale, con una „isola’ linguistica sul Balcano. Tutto questo territorio una volta faceva parte dell’Impero Romano, nella cui parte occidentale la lingua di mutua comprensione era il latino volgare. Nei primi secoli dopo Cristo le differenze regionali sono andate man mano aumentando e dal sec. IX circa si possono distinguere le lingue romanze. Queste si dividono in un gruppo orientale (italiano centrale e meridionale, rumeno) e un gruppo occidentale (italiano settentrionale, francese, spagnolo, portoghese, catalano, provenzale e le lingue retoromanze, tra cui il friulano). Il testo più antico in una lingua romanza è il cosiddetto Indovinello Veronese (800).

Tra gli elementi caratteristici delle lingue romanze si conta la morfologia relativamente semplice dei sostantivi e degli aggettivi, in cui le relazioni sintattiche non vengono espressi tramite casi grammaticali. Dall’altro canto il paradigma del verbo contiene un ricco inventario di tempi (cantai, cantavo, canto, canterò) e modi (cantassi, canti, canterei).

Il friulano
Il friulano si parla nelle province di Udine e Gorizia e nelle zone confinanti a queste province. Accanto al friulano centrale della città di Udine esistono numerosi dialetti e parlate locali. Il documento più vecchio redatto in friulano risale al 1380.

Rispetto a dialetti dell’Italia settentrionale, il friulano presenta un’aspetto arcaico, cioè più vicino al latino. Tratti tipici della pronuncia friulana sono i nessi pl, bl, fl, come in p. es. plat ‘piatto’ e le prepalatali ci e gi, come in p. es. ciantòn ‘cantone’. Una parte notevole dei prestiti romanzi nel resiano sono chiaramente di origine friulana. Così i due esempi appena citati si usano nel resiano come prestiti e suonano plät e æantun. Oltre alla vicinanza secolare con l’area friulana la sua forte influenza è anche dovuta al fatto che molti resiani sono capaci di esprimersi in questa idioma romanzo.

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Vocaboli Resiani

(per leggere questa pagina è necessario installare il supporto per il multilingue) tratto dal Bollettino Parrocchiale Di Resia

All’Ombra Del Canin – ta pod Canynowo sinco, N.4 Anno 70 – pag.8,9

VOCABOLI RESIANI

1. Aspetti generali del lessico resiano

Il patrimonio lessicale del resiano si presenta come povero sotto certi aspetti, ricchissimo sotto altri. Visto che sulla sua povertà si possono già sentire lamenti a non finire, in questa sede vogliamo approfondire l’argomento della sua ricchezza. Essa si esprime per esempio nella denominazione dettagliata degli aspetti quotidiani dell’ambiente montanara, del suo clima ruvido e del lavoro duro che si svolgeva sotto queste condizioni.

E’ vero che per un parlante l’interesse primario di una parola sta nella sua capacità di indicare una certa realtà nel mondo in cui sta vivendo. Per la linguistica, però, una parola può assumere importanza anche per lo sviluppo storico che si lascia dedurre dall’uso, il significato e la pronuncia esatta di tale o tale parola. Queste conclusioni storiche gettano fra l’altro luce sulle relazioni dei resiani con i popoli confinanti e sulle relazioni dei popoli slavi in generale. Non ci sorprende perciò che incontriamo parole resiane citate in parecchi dizionari etimologici e atlanti dialettologici, come l’Etimološki slovar slovenskega jezika (Dizionario etimologico della lingua slovena) a cura di F. Bezlaj o l’Atlante Storico-Linguistico-Etnografico Friulano sotto la direzione di G.B. Pellegrini. E persino sulle pagine di un lavoro di così ampio spiro come lo Słownik prasłowiański (Dizionario protoslavo) di F. Sławski possiamo trovare vocaboli resiani.

Anche per le relazioni dei resiani tra di loro lo studio del patrimonio lessicale ci può dare importanti indicazioni. Si sa che le parlate principali resiane si differiscono fortemente l’uno dall’altro. Quando si fa questa affermazione, si pensa in primo luogo alle differenze di pronuncia, ma anche per quanto riguarda la grammatica in senso stretto ed il lessico esistono differenze notevoli tra le varie parlate. Limitandoci al lessico, non raramente si usa per lo stesso contenuto semantico (concetto) più di un vocabolo. Questi vocaboli non vengono usati indiscriminatamente l’uno accanto all’altro per tutta la valle, ma sono limitati a certe parlate le quali vengono in tal modo caratterizzate dall’uso di un certo vocabolo. Cioè accanto alla sua pronuncia specifica ogni parlata dispone di un vocabolario tipico. Voci appartenenti a questo vocabolario tipico devono esser tradotte da una parlata nell’altra per non corrompere l’espressione tipica e propria. Presentiamo e commentiamo tre concetti che fanno parte del contenuto di questo vocabolario resiano-resiano, tutti e tre riferendosi al campo del cibo.

2. Materiali per un vocabolario intraresiano

1. ‘polenta’

Il concetto ‘polenta’ viene denominato dai vocaboli seguenti:

San Giorgio Gniva Oseacco Stolvizza

jëst jëst/polenta id jid

Tra questi la voce gnivese polenta è ovviamente da indentificare con il friulano polènte e l’italiano polenta che derivano dal latino polenta ‘farina d’orzo abbrustolito’. Si è avuto un leggero spostamento laterale nel significato: mentre la polenta nei tempi antichi veniva preparata con orzo, quella odierna viene preparata con granoturco. L’addomesticazione del vocabolo polenta a Gniva dev’esser accaduta di recente. Il Baudouin de Courtenay notava nel 1875 ancora jëst per San Giorgio, Gniva e Prato. E intorno 15 anni fà il Matičetov è riuscito a trovare il vocabolo jëst anche a Gniva. Questo vocabolo, come gli altri due, è di origine slava. Concentriamoci prima sulle voci oseacchese e stolvizzana che sono etimologicamente meno problematiche e si differiscono solo per la loro pronuncia. Il loro antenato comune è lo slavo ědь ‘il mangiare, cibo’, una formazione sostantivale derivata dal verbo ěsti ‘mangiare’ che nelle sue forme moderne è anche usato nello sloveno (jed ‘cibo, piatto’), nell’alto (jědź ‘cibo, pasto, piatto’) e basso (jěź ‘cibo, piatto’) sorabo e in certi dialetti russi e bielorussi. Nel significato del vocabolo si vede una tendenza di sviluppo dal generale verso lo specifico. Dal concetto molto generale ‘il mangiare, cibo’ si va attraverso i concetti già più specifici ‘pasto’ (= ‘tempo in cui si mangia’) e ‘piatto’ (= ‘certo tipo di cibo che si mangia durante il pasto’) per arrivare al concetto molto specifico ‘polenta’ (= ‘certo tipo di piatto’). La specializzazione del significato, un fenomeno molto comune nella semantica storica, si lascia in questo caso spiegare con il bisogno del resiano di denominare il piatto più importante che egli conosceva. Come osserva il fu J. Rigler (Ljubljana), parallelamente a questa denominazione per ‘polenta’ come risultato di specializzazione semantica si ha oggi per žïtu come significato ‘grano del granoturco’, mentre nello slavo comune significava ‘grano’ in generale.

Torniamo al vocabolo sangiorgino e gnivese jëst per il quale sono in giro due analisi etimologiche. La prima spiegazione, avvocata da per esempio L.V. Kurkina (Mosca) e F. Sławski, vede qui la parola slava ěstь ‘cibo’, un’altra formazione sostantivale derivata dal verbo ěsti ‘mangiare’ e ancora viva nell’alto e basso sorabo (jěsć ‘cibo, pasto’). Però è stato provato in modo convincente da Rigler che la parola resiana non è nient’altro che il verbo omofono jëst ‘mangiare’, utilizzato come sostantivo. Questa doppia funzione della forma jëst, alla volta verbo e sostantivo, trova tutt’una serie di riscontri nei dialetti sloveni. Anche per il vocabolo sorabo corrispondente H. Schuster-Šewc (Lipsia) ritiene più probabile quest’ultima analisi. Per quanto riguarda il significato di questo vocabolo resiano vale quello che è stato detto sopra: quando si mangiava, il piatto più importante era la polenta, e quindi la denominazione di ‘polenta’ con jëst.

Per quanto riguarda l’anzianità delle due espressioni, può darsi che una è più vecchia dell’altra. In quel caso sorge la domanda: „Quale delle due è la più vecchia?’ O sono entrambe della stessa età, avendo vissute una accanto all’altra come sinonimi prima che jëst si limitava alle parlate di San Giorgio e Gniva e id/jid alle parlate di Oseacco e Stolvizza? Abbiamo due indicazioni che puntano verso jëst come una formazione più recente in rispetto a id/jid. Primo, fuori del caso nominativo/accusativo si hanno anche a San Giorgio e Gniva forme del vocabolo id/jid, e.g. nu malu jëdi SG, nu melu jëdi G ‘un po’ di polenta’, dove si usa il genitivo di id/jid come a Oseacco (no maju ëde) e Stolvizza (no mojo jëdi). Questo vuol dire che il vocabolo id/jid è anche noto alle parlate resiane occidentali, solo lì manca il caso nominativo/accusativo, per cui si usa jëst appunto. Pare che l’uso di jëst abbia cancellato dalle parlate occidentali il nominativo/accusativo di id/jid. Quel jëst allora è indeclinabile e questo ci rimanda al secondo motivo per classificarlo come una formazione più recente. Per il sistema grammaticale dello slavo comune e anche per le lingue slave moderne, eccezione fatta per il bulgaro e il macedone, indeclinabilità del sostantivo è molto raro e quasi sempre da attribuire a sviluppi secondarie. L’uso di jëst come sostantivo ci pare un tale sviluppo, una innovazione in rispetto alle parlate che hanno conservato id/jid anche nel nominativo/accusativo.

2. ‘patate’

Le patate vengono indicate con le voci:

San Giorgio Gniva Oseacco Stolvizza

kartüfule karćüfule/krampir krampir krampir

Anche se krampir grammaticalmente è una forma singolare, essa può riferire a una quantità indefinita di patate, come fa kartüfule/karćüfule ‘patate’. Il vocabolo krampir condivide questo tratto semantico con per esempio böb ‘fagioli’. A San Giorgio e Gniva si può dire kartüfula/karćüfula per indicare una patata, ma gli oseacchesi e stolvizzani sono costretti a utilizzare la parola krampir anche per individuare una patata sola.

Per quanto riguarda la loro origine, il vocabolo sangiorgino kartüfule e quello gnivese karćüfule trovano riscontro nel friulano cartùfule ‘patata’, a sua volta preso dal tedesco Kartoffel ‘patata’. (Per curisosità, questa voce tedesca trova, attraverso la sua forma più vecchia Tartuffel la sua origine nell’italiano tartufolo.) Interessante, ma per il momento sfidando una spiegazione definitiva, è la differenza sottile tra le pronuncie resiane: con la t a San Giorgio, con la ć a Gniva. L’altro vocabolo, krampir, è da collegare con la voce tedesca Grundbirne ‘patata’ con una forma più vecchia Grundbir. Quando la patata diventava più comune nell’Europa centrale, dagli inizi del Settecento, in tedesco si usavano parecchi vocaboli per denominare questa pianta nuova. Soprattutto in Carinzia e in Stiria varianti dialettali della parola Grundbirne erano e sono ancora usuali. Per esempio, in una zona all’Est di Graz si dice dialettalmente krumpir. Una forma dialettale simile ha probabilmente dato origine al vocabolo resiano krampir. Occorre tener presente che in sloveno si usa communemente krompir, dalla stessa fonte tedesca, e non è da escludere che la voce sia arrivata a Resia non direttamente dal tedesco, ma per via di trasmissione per il territorio sloveno, dove la coltivazione della patata cominciava dal 1740 circa. Che kartüfule/karćüfule è entrata nella valle per via di trasmissione del friulano, però, è pacifico.

Anche qui può sorgere la domanda, quale vocabolo sia il più vecchio. Con le informazioni a nostra conoscenza questo non si lascia stabilire non certezza. La forma tedesca vecchia Tartuffel è attestato fin al 1761, mentre nella sua forma Kartoffel appare per la prima volta nel 1778. Solo dopo questo cambiamento ta- ka- nella forma tedesca, prodottosi probabilmente nei decenni intorno al 1750, la voce può esser entrata nel friulano, che ha ca-. Dall’altro canto, nello sloveno di krompir si fa menzione per la prima volta nel 1773, e può darsi che sia entrato in uso quasi contemporaneamente con il formarsi del tedesco Kartoffel. Forse informazioni sul primo uso della forma cartùfule nel friulano possono aiutare a rissolvere questo enigma.

3. ‘focaccia’

Per la focaccia si possono sentire i seguenti vocaboli:

San Giorgio Gniva Oseacco Stolvizza

fujača bohača bogačä paača

Esattamente come si preparava la focaccia resiana una volta si può trarre da una descrizione da Aldo Madotto nel suo libro „Vivere fra le montagne’ sulla pagina 88. Che la forma gnivese bohača e quella oseacchese bogačä sono infatti lo stesso vocabolo, pronunciato a seconda della parlata locale, è ovvio. Per la h gnivese si ha spesso quella g oseacchese fricativa, da distinguere nella sua pronuncia dalla g sangiorgina occlusiva. Anche la forma stolvizzana paača si lascia collegare con questi due, se si tiene presente che a una h gnivese e una g oseacchese spesso corrisponde un vuoto in stolvizzano. In un passato non tanto remoto, anche a Stolvizza questo vocabolo avrà contenuto una specie di g fricativa o h. Ancora il Baudouin de Courtenay ha nel 1873 registrato a Stolvizza presso la generazione anziana di quella volta tanti vocaboli con una h dove adesso non si pronuncia appunto niente, per esempio bohat ‘ricco’, hlawa ‘testa’, adesso boet, lawa. Forse anche paača veniva ancora pronunciata pahača dagli stolvizzani anziani di cento anni fa. Per la differenza bo- G, O verso pa- S al momento non vogliamo proporre una spiegazione dettagliata, ma siamo dell’opinione che si tratti della stessa sillaba, composta da una consonante labiale occlusiva (b, p) e una vocale medio-bassa (o) o bassa (a). I vocaboli resiani fin qui trattati sono etimologicamente identiche con lo sloveno pogača ‘specie di pane fatto con burro’, originando dalla voce latina volgare focacea con il significato approssimativo ‘cotta nel fuoco’. La forma romanza che è stata il fonte diretto per questo prestito si deve cercare nella parte settentrionale dell’Italia dove la sequenza -oca- si è mutata in -oga-. Nel triestino si dice per esempio fogaza e anche nel friulano antico si pronunciava così.

Il vocabolo sangiorgino fujača trova il suo riscontro diretto nel friulano fujàzze ‘focaccia’ sempre dallo stesso etimo latino. La sequenza –oga- del friulano antico si è sviluppato in -uja- presente nella forma friulana moderna e solo poi la voce è stata trasmessa alla parlata sangiorgina. Vediamo allora che tutti vocaboli resiani trattati qui derivano dallo stesso fonte latino. Alle base di regolarità nelle corrispondenze di suoni in prestiti romanzi nelle lingue slave contigue all’area romanza si può dedurre che il vocabolo che ha dato origine alle forme attestate a Gniva, Oseacco e Stolvizza è entrato in uso già nel periodo 900-1150, molto prima dell’apparenza della forma friulana moderna a San Giorgio.

3. Osservazioni generali

I vocaboli discussi danno un quadro quasi completo delle origini del lessico resiano: voci slave antiche, innovazioni a base di materiale slavo, prestiti tedeschi e romanzi che risalgono a varie epoche. Visto la posizione geografica di Resia, questo certo non è una grande sorpresa. Sia per quanto riguarda le voci slave che per i tipi di prestiti il resiano trova riscontri strettissimi negli altri dialetti sloveni e nello sloveno letterario. Ma nel caso di prestiti recenti dal friulano il resiano sta camminando per una strada propria sua. Questi prestiti indubbiamente friulani sono più numerosi nella parte occidentale della valle, con massimo spicco a San Giorgio. Verso oriente i friulanismi non sono penetrati in un numero così grande.

Han Steenwijk

Biografia di Han Steenwijk

Nato 1959 a Enschede (Olanda). Dopo il liceo classico studia lingue slave (russo, serbocroato, polacco) all’Università di Utrecht (1979-1986) e lavora nel Seminario Slavo dell’Università di Amsterdam (1986-1990). Prima visita a Resia nell’estate del 1986. All’Università di Leida presenta 1992 una monografia sulla parlata di San Giorgio (bibl.). Su richiesta del sindaco e del circolo culturale ‘Rozajanski Dum’ organizza una conferenza internazionale (bibl.) sulle prospettive per una grammatica pratica resiana (1991) e si accinge a sviluppare una forma standardizzata per scritti resiani (1992-2001). Il suo progetto per una grammatica pratica resiana ha fin ad oggi risultato in una ortografia (bibl.) e la descrizione della morfologia del sostantivo per lo standard e per le quattro parlate principali. Occupazioni professionali fuori della resianologia sono collaborazione alla Bibliographie linguistique (1991-1993, 1995-1997) e lo studio del basso sorabo nell’Istituto Sorabo a Cottbus (1993-2001). Attualmente è titolare della cattedra di lingua e letteratura slovena all’Università di Padova (2001-). Sempre per lo sviluppo del resiano standard comincia un progetto universitario per un dizionario resiano consultabile online (2002-)

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